La ragazza con l’orecchino di perla. Alcune riflessioni

Palazzo Fava di Bologna. In mostra la Ragazza con l’orecchino di perla

A Bologna la mostra “La ragazza con l’orecchino di perla”, ultima tappa di un tour mondiale dei preziosi quadri del Mauritshuis, mi dà l’opportunità di fare una riflessione sul tema della storia del ritratto.

Dipingere un ritratto è una delle prove più dure per il pittore: deve avere piena conoscenza dell’anatomia, padronanza nel disegno ed un indiscusso gusto del colore. Il ritratto è una osservazione del vero, il ritratto, proprio perché è un “ritratto”, deve somigliare al modello.

Ma non si tratta solo di somiglianza esteriore.
Non si tratta di quel tipo di ricerca del vero e della verità.
Il pittore, proprio perché dipinge, è a conoscenza di un linguaggio universale che non necessariamente passa attraverso la “spiegazione”, la scelta dei colori, l’uso della pennellata, l’emotività celata dalla scelta di prospettive visibili e nascoste…un pittore parla anche con questo…

Sul tema dell’invenzione del ritratto si dice che che dal rinascimento venga messo al mondo il paradigma del ritratto: trovo la cosa un po’ forzata, perché, anche solo a memoria, mi sembra che si contempli il ritratto dai mosaici ellenistici alla pittura pompeiana, come in tutta l’iconografia celebrativa.
Il Rinascimento certo segnò un punto di svolta nell’arte del ritratto per il rinnovato interesse verso il mondo naturale, l’uomo e l’espressione.

In effetti un elemento nuovo.
Proprio dalla seconda metà del Quattrocento nacque il ritratto privato, anche come genere autonomo.
Maestro di grande finezza fu Pisanello, che diede un’aura di composta serenità e di fiera regalità ai ritratti di regnanti delle più importanti casate del Nord Italia. In questo periodo circolarono spesso piccoli ritratti miniati o dipinti, che diffondevano le effigi tra una corte e l’altra, magari nella prospettiva di intessere rapporti matrimoniali.

In pittura fece da apripista la scuola fiamminga, con le effigie dei potenti che si affrancano dalle composizioni religiose, occupando da soli l’intero spazio del dipinto ed assumendo un inedito carattere di persone “reali” e credibili.
Il ritratto del volto seguiva lo stesso rigore: non si limitava più all’idealizzazione: cercavano, a tale scopo, di cogliere il nesso aureo del volto codificandone le misure per renderlo verosimile, coerentemente con quell’idea universale della centralità del pensiero umano.
Il ritratto rinascimentale comportava sempre un elemento simbolico e idealizzato, non era mai una mera riproduzione delle fattezze.
Pur rimanendo tipico raffigurare oggetti e animali simbolici, derivati dalla simbologia della pittura sacra, come il cagnolino (fedeltà), il libro (erudizione), l’ermellino (incorruttibilità di spirito), ecc., l’idealizzazione umanistica dei soggetti non voleva però dire un ritratto di volto “abbellito”: anche i difetti fisici acquistavano la propria dignità all’interno di una raffigurazione perfetta formalmente. Dall’astrazione degli stili precedenti il soggetto recuperava la secolarità, la caducità, la naturalezza, la intima unicità. Si immergeva nel mondo con tutto se stesso.

Dal Rinascimento in poi i ritratti presentano anche minuziose riproduzioni della moda e del gusto nel vestire dell’epoca, che permettono spesso di ricostruirne l’evoluzione di decennio in decennio; appaiono con dovizia di particolari oggetti che rappresentavano la ricchezza e il prestigio del soggetto (gioielli, pellicce, broccati, per le donne acconciature elaborate e incarnato chiarissimo).
Da qui l’Umanesimo, quel felicissimo periodo in cui ogni artista era “un artista a tutto tondo” in grado di inventare tutto, in qualunque disciplina; e l’arte era uno strumento di indagine filosofica e al pari della letteratura seguiva l’andamento culturale: dall’ idealizzazione all’osservazione, dall’osservazione esteriore all’introspezione.

Che sia poi il rinascimento ad eleggere per primo il ritratto a soggetto del racconto è relativamente credibile* : Bruegel il Vecchio, Cranach e gli olandesi, contemplano il ritratto il ritratto non tanto come rappresentazione di un volto esemplare, di una personalità speciale che avesse l’onore della memoria eterna, ma come nel paesaggio, parte di una dimensione nuova.
Il volto era un protagonista: corteggiato e studiato, e infine rappresentato come luogo dentro il quale l’uomo vive. Quello che davvero mi sorprende dei pittori di quell’epoca è la cura nell’osservazione: dipingere quello che si vedeva era una cifra “narrativa”assolutamente nuova.
L’esistenza di Dio non era in discussione, ma la trascendenza lasciava il posto ad un uomo al centro del mondo.

L’importanza delle scoperte filosofiche e scientifiche di quel periodo posero l’opportunità di far sentire l’uomo non più un ospite, una vittima in transito, ma parte del mondo, del suo mondo esplorato.
Era la sua intelligenza a farlo sentire umano: umano che deve la sua consapevolezza alla capacità di osservare.
Durante il periodo barocco e rococò (XVII-XVIII secolo) l’arte del ritratto ebbe un’enfasi ancora maggiore, come immagine dell’opulenza carica dei simboli del potere e della ricchezza.
I fiamminghi Anthony van Dyck e Peter Paul Rubens furono tra gli artisti più richiesti per questo genere di opere.

In questo periodo si diffuse lo studio per le espressioni facciali, che enfatizzassero particolari emozioni e stati d’animo.

NOTA
Che sia poi il rinascimento ad eleggere per primo il ritratto a soggetto del racconto è relativamente credibile*

Per quanto si sa i più antichi ritratti a sé stanti dell’arte occidentale moderna solo databili al 1432 circa, opera di Jan van Eyck. Eseguirono ritratti di grandissimo pregio anche Rogier van der Weyden, Hans Memling, Hans Holbein il Giovane, Lucas Cranach il Vecchio e Albrecht Dürer. nelle Fiandre si affermò dagli anni trenta del XV secolo il ritratto di tre quarti, e il volto, immerso in uno sfondo indefinito di tradizione bizantina ma non più aureo bensi trasformato in un limbo scuro da cui risaltava maggiormante la luce dell’incarnato, del panneggio , dei dettagli,mentre in Italia si preferì a lungo la posizione di profilo, dalle reminiscenze romano-imperiali, che meglio esprimeva le ambizioni aristocratiche dei nuovi signori delle corti.

Valentina Falcioni

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