Vermeer alle scuderie. La straordinaria stagione del Secolo d’oro

Vermeer alle scuderie

Pittura fiamminga: il ritratto di uno stile di vita… “scuola dei Primitivi fiamminghi”. Sono anni che mi appassiona la storia dell’arte, e, in particolare, quella del paesaggio e del ritratto: quello che più mi sorprende mano mano che approfondisco, è quella sua capacità di restituire la “storia somatica” di un popolo integrata nel suo ambiente.
…non conosco bene le lingue “straniere”, faccio fatica ad impararle e dimentico in fretta vocaboli e costruzioni; ma so disegnare, so dipingere…conosco il linguaggio dell’arte, e mi rendo conto che questo linguaggio mi permette di comprendere nell’intimo un popolo….lo comprendo attraverso la sua pittura meglio che con il mio inglese o tedesco stentato.


Le immancabili e frequenti visite ai musi statali, alle pinacoteche alle collezioni mi permettono di “far conoscenza”, di comprendere e metabolizzare quel “senso della vita” peculiare che l’arte sa descrivere meglio delle parole e delle riflessioni fatte durante una conversazione: l’arte, come un libro, riesce a descrivere la fusione fra “accidentale e periodico, costante”…l’arte è per me un linguaggio che mi permette di fare “amicizia”.
ho notato che fin dai tempi del tardo medioevo, in maniera analoga ai pittori toscani, i fiamminghi svilupparono un interesse verso la realtà e la rappresentazione naturalistica. I fiamminghi, in particolare van Eyck, seppero arrivare a una completa integrazione tra figure e paesaggio, dove la luce è l’elemento che unifica tutta la scena, delineando con incisività scrupolosa tanto le figure principali quanto i singoli oggetti di corredo.
Andava così perdendo di interesse la spazialità sospesa e astratta delle raffigurazioni tardogotiche, dove tutto concorreva a dare un’ “apparenza da favola” o da balletto ben architettato sapientemente reso dai fondi d’oro o blu tipici dell’influenza bizantina e tardogotica.
E questop fu certamente frutto di una evoluzione iconografica che risentiva dello scollamento progressivo che avvenne progressivamente e conseguente a quello teologico che sfociò nella controriforma ma che fin dal rinascimento “covava” il suo germe nelle discussioni dei filosofi del nord Europa, discussioni che attraversarono l’intero continente e rese possibili grazie alle infrastrutture, le strade che portavano nei grandi centri di allora che erano sedi di prestigiosi atenei e che erano spesso anche Porti dove confluivano ricchezze da quelle parti del mondo “conosciuto”
“Lo spazio” rappresentato dai fiamminghi è molto diverso dallo spazio rappresentato dagli italiani attraverso la prospettiva lineare centrica. Gli italiani usavano infatti un unico punto di fuga posto al centro dell’orizzonte, dove tutto è strutturato perfettamente, ordinatamente, con rapporti precisi tra le figure e un’unica fonte di luce che definisce le ombre. Secondo questa impostazione lo spettatore resta tagliato fuori dalla scena e ne ha una visione completa e chiara.
Per i fiamminghi invece lo spettatore è incluso illusoriamente nello spazio della rappresentazione, tramite alcuni accorgimenti quali l’uso di più punti di fuga (tre, quattro) o di una linea dell’orizzonte alta, che fa sembrare l’ambiente “avvolgente” o in procinto di rovesciarsi su chi guarda. lo spazio è tutt’altro che chiuso e finito, anzi spesso si aprono finestre che fanno intravedere un paesaggio lontano, o, come nel celebre “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan van Eyck, possono essere addirittura presenti specchi che raddoppiano l’ambiente, mostrando le spalle dei protagonisti.
La luce illumina con la stessa attenzione l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande facendo da medium per unificare tutta la rappresentazione. Vengono sfruttate più fonti luminose, che moltiplicano le ombre e i riflessi, permettendo di definire acutamente le diverse superfici: dal panno alla pelliccia, dal legno al metallo, ciascun materiale mostra una reazione specifica ai raggi luminosi (il “lustro”).
In una visione tanto attenta al dettaglio ed ai più svariati oggetti, l’uomo non può essere il centro del mondo, come teorizzavano gli umanisti, che vivevano in italia, anzi è solo una parte del ricchissimo Universo, dove non tutto è riconducibile al principio ordinatore della razionalità.
Se da una parte i gesti e le azioni dell’uomo non hanno quella forza culturale di fare “storia”, dall’altra i singoli oggetti acquistano importanza nella raffigurazione, ottenendo una forte valenza simbolica che può essere letta su vari strati.
Il primo periodo del secolo XV, viene denominato “scuola dei Primitivi fiamminghi”: questa scuola normalmente dipingeva quadri a tematica religiosa, benché sviluppasse anche ritratti e paesaggi. La tecnica dell’olio, permise a quei pittori che lo stile si caratterizzasse per la minuziosità, il diletto nella riproduzione di oggetti, il naturalismo e l’amore per il paesaggio.
I fiamminghi, inoltre, inventarono un altro modo di visualizzare il personaggio: non di profilo, non frontale, ma “a tre quarti”: questo cambiamento nella rappresentazione del punto di vista, permette all’osservatore di cogliere maggiori informazioni della fisionomia di uno stesso volto.di cui è colta l’espressività in maniera più dinamica e viva rispetto alla staticità tipica di certa iconografia ieratica contemporanea delle zone mediterranee, tutte ancòra imbevute di quella staticità di origine bizantina….
Rilevante è stata l’influenza che la primitiva pittura fiamminga ha avuto sul resto della pittura europea. Innanzitutto sul piano tecnico: quasi ovunque la pittura a olio sostituì come tecnica dominante la precedente pittura a tempera. Ma anche sul piano stilistico ampia parte dell’arte europea si mostrò sensibile alla nuova pittura fiamminga, sia pure con intensità diverse. In Spagna si registrò la pressoché integrale ricezione del modello fiammingo In Germania alcuni maestri dei Paesi Bassi, specie di area olandese e su tutti Geertgen tot Sint Jans, sono ritenuti una fonte il cui influsso è avvertibile nella pittura dei maestri del rinascimento tedesco, Dürer compreso.
Anche in Italia non mancano innesti di derivazione fiamminga nella tradizione rinascimentale: la sensibilità luministica di Piero della Francesca, l’opera di Antonello da Messina, in particolare i suoi ritratti, e alcuni aspetti della pittura di Leonardo (il suo sfumato, i suoi paesaggi) ne sono alcuni degli esempi più visibili e noti.

Ecco lo slideshow.

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